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Ambiente, un nuovo drammatico appello della comunità scientifica

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Il 13 gennaio scorso un gruppo di eminenti scienziati di livello internazionale ha pubblicato sulla piattaforma Frontiers un drammatico articolo sulla crisi planetaria.

Non è la prima volta e sicuramente non sarà l’ultima che un gruppo di scienziati sente il bisogno di lanciare un allarme sulla crisi globale, ma questa volta il tono lo si può definire “ultimativo”. Del resto, i dati di partenza riportati nel testo sono catastrofici. Dall’inizio dell’agricoltura, circa 11.000 anni fa, la biomassa della vegetazione terrestre è stata dimezzata; il 70% della superficie terrestre è stato alterato dall’uomo. Grazie a noi si sono estinte per certo almeno 700 specie di vertebrati e 600 specie di piante negli ultimi 500 anni. Complessivamente, circa un milione di specie sono minacciate di estinzione nel prossimo futuro e circa il 40% delle piante sono considerate in pericolo: siamo dentro la sesta estinzione di massa.

A livello globale residua solo il 15% delle aree umide che c’erano solo 300 anni fa. Più di due terzi degli oceani sono stati in qualche misura compromessi dalle attività umane, mentre la copertura di coralli vivi sulle barriere si è dimezzata in 200 anni, drammatica è la situazione dei pesci, specie dei grandi predatori. La biomassa terrestre è rappresentata dal bestiame (59%) e dagli esseri umani (36%) – solo il 5% circa di questa biomassa totale è costituito da mammiferi selvatici, uccelli, rettili e anfibi: la biodiversità si sta riducendo velocemente.

A questi dati, già di per sé terribili, mi sento di aggiungerne almeno altri due. Tipo i cento miliardi di tonnellate che rappresentano tutti i manufatti sulla Terra. Il che significa che ciò che non è vivo supera ciò che è vivo. Tipo i 300 milioni di tonnellate di plastica che vengono prodotte all’anno (e col Covid si sarà data una bella accelerata) e i 165 milioni che ci sono negli oceani (e nel 2050 ci sarà più plastica che pesci).

Uno degli scienziati che hanno sottoscritto il documento è quel Paul Ehrlich che in tempi non sospetti (era il 1968, il libro “Population Bomb”) puntò il dito contro il dramma della sovrappopolazione mondiale. E giusto questo è uno dei punti toccati dal documento. Ma ovviamente non è solo la sovrappopolazione il problema. Il problema è anche che si consuma troppo e male.

Gli autori poi sottolineano come la comunità internazionale si dia degli obiettivi nel campo sia della tutela della biodiversità, sia del riscaldamento globale e sistematicamente questi obiettivi non siano raggiunti. E la comunità internazionale continui come se niente fosse: come se si fosse scherzato. Ma non c’è nulla da scherzare, tutt’altro. E la stessa pandemia – vaticinata già anni addietro, anzi nel 1996 – è una prova del fatto che la natura si ribella alla nostra furia distruttrice. Il documento alla fine però è vago sulle misure da prendere anche se sottolinea che non possono che essere impopolari. E qui veniamo alla domanda che altre volte mi sono posto.

Premesso che in tutto il mondo non vi è nessuna classe dirigente in grado di prendere decisioni drastiche ed immediate come la gravità della situazione richiede perché quella classe dirigente è espressione di persone che questo problema non lo sentono minimamente; premesso questo, è possibile in un sistema democratico avere una classe dirigente illuminata in campo ambientale ed avente il mandato di prendere provvedimenti draconiani?

In ultimo da sottolineare che l’appello da noi non è stato riportato da alcun mass media: è caduto nel vuoto. Siamo troppo impegnati a colorare le Regioni e a trovare un sostituto di Renzi per preoccuparci del fatto che stiamo segando il ramo su cui siamo seduti.

L'articolo Ambiente, un nuovo drammatico appello della comunità scientifica proviene da Il Fatto Quotidiano.


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